Il patto di famiglia è un contratto con cui l’imprenditore o titolare di partecipazioni societarie, trasferisce, gratuitamente, tutte o parte dell’azienda o delle partecipazioni sociali ad uno o più discendenti.
Questi ultimi provvederanno alla liquidazione del coniuge e degli altri congiunti, i legittimari, in caso di apertura della successione.
La liquidazione infatti può anche non essere contestuale alla stipula del patto di famiglia, ma può essere prevista in un successivo momento con apposito contratto collegato al primo, ferma la necessaria partecipazione dei soggetti indicati.
Lo scopo di questo istituto è quello di assicurare il passaggio generazionale dell’azienda di famiglia in favore di quella persona che negli anni si sia dimostrata più incline alla prosecuzione dell’attività imprenditoriale.
Capita molto spesso infatti che alcuni soggetti, che avrebbero diritto, con le norme successorie, a proseguire l’attività di famiglia, non siano in grado di effettuare scelte adeguate, o semplicemente non siano interessati all’attività.
Prima dell’introduzione del patto di famiglia, il genitore titolare che volesse passare la propria azienda al coniuge o al figlio meritevole e capace, doveva scontrarsi con la difficoltà di far salvo il diritto alla legittima degli altri beneficiari e, qualora avesse optato per la donazione di tali quote, l’impossibilità di cristallizzare il valore dell’azienda o delle partecipazioni al momento della stipulazione, dovendo necessariamente ricomprendere l’incremento di valore nel calcolo del patrimonio del de cuius ex art. 556 c.c.
Il patto di famiglia è in grado di risolvere entrambi questi problemi, realizzando una stabilità del trasferimento avvenuto in vita e, nel contempo, provvedendo alla liquidazione della quota spettante agli “esclusi”.
Le parti necessarie seppur il dato normativo risultasse fuorviante sull’indicazione dei soggetti che debbano necessariamente partecipare alla stipula del patto di famiglia, la dottrina prevalente, ha da tempo chiarito che, non vi possa essere l’esclusione dei legittimari esistenti, poichè vi potrebbe essere una grave limitazione dei loro diritti successori, e che debbano considerarsi eventuali, con l’applicazione dell’art. 768 sexies, solo i legittimari sopravvenuti.
A tale conclusione la dottrina è sopraggiunta partendo dal principio cardine ex art. 1372 c.c., dell‘intangibilità delle sfere giuridico-patrimoniali.
Secondo tale principio, ogni qualvolta un contratto sia diretto a realizzare effetti nella sfera giuridica di un soggetto, questi deve necessariamente intervenire alla sua stipulazione.
Che cosa succede quindi, se una delle parti che abbiamo definito “necessarie” non sia presente?
Secondo la dottrina sopra richiamata, si tratterebbe di un caso di nullità per contrarietà ad una norma imperativa, con la conseguenza che, mancando l’assenso di tutti i legittimari alla sistemazione patrimoniale voluta dal disponente, i beni dell’impresa da questi attribuiti con il patto, non essendosi mai trasferiti in proprietà del familiare prescelto ed essendo sempre rimasti nel patrimonio del disponente, debbono considerarsi, al momento dell’apertura della successione, facenti parte della massa ereditaria.
Risulta necessario, per evitare che il patto di famiglia venga dichiarato nullo o annullabile per altro vizio, rivolgersi al professionista di fiducia, che valutando il caso concreto, possa consigliare la strategia migliore.
Avvocati esperti in successioni
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